Articolo tratto da Vanity fair del 01/02/2014

Cristiana dona un rene al marito malato, e lo salva «Rifarei tutto, anche domani»

— Articolo tratto da Vanity fair del 01/02/2014

Articolo tratto da Vanity fair del 01/02/2014

Cristiana dona un rene al marito malato, e lo salva. Una settimana dopo la nascita del loro secondo figlio, lui la lascia. Eppure, lei spiega: «Rifarei tutto, anche domani»

«Gli ho donato un rene. Poi mi ha lasciato»

«Prepara i bambini che passo a prenderli e poi li porto all’asilo. Cristiana»: un messaggio normale, scambiato tra due genitori separati. A renderlo speciale è il fatto che nel 2010, prima della separazione, Cristiana ha di fatto salvato la vita a suo marito, donandogli un rene. Cristiana Casalicchio non è il primo caso in Italia di donna che dona un rene al marito.Il suo «primato» (triste) è un altro: in Italia è la prima donna che, dopo la donazione di un organo e la nascita di un secondo figlio, è stata lasciata dal compagno. Ma non per questo oggi rinnega la scelta fatta nel 2010, anzi. Ed è per questo che ha deciso di raccontare la sua storia. Cristiana e Stefano fanno coppia fin dai banchi delle superiori, prima come compagni e poi come fidanzati. «Ci siamo sposati il primo febbraio del 2007», racconta Cristiana. «Nel 2009 è nato il nostro primo figlio, Federico, e poi, nel 2011, il secondo, Riccardo. Ci siamo separati il 18 dicembre 2013».La storia del loro matrimonio si intreccia a quella della malattia. La sindrome di Alport che, inizialmente in forma lieve, viene diagnosticata a Stefano alla visita militare. «Eravamo sposati solo da qualche mese quando i valori che indicavano la funzionalità renale di mio marito peggiorarono notevolmente. Il nefrologo fu molto chiaro, la prospettiva era una sola: dialisi e trapianto. Il mondo mi è crollato addosso. Da quel momento l’insufficienza renale è entrata a gamba tesa nelle nostre vite: non siamo più stati liberi di scegliere, a scegliere per noi erano i numeri della creatinina.Era sempre come trovarsi sull’orlo di un baratro, non sapevamo né come né quando saremmo caduti. Però sapevamo con certezza che, prima o poi, sarebbe successo». Come si reagisce, a una situazione così? «Abbiamo deciso di trascorrere quel poco che restava di una vita “normale” cercando di avere un figlio. Sono rimasta incinta, e il 2 maggio 2009 è arrivato Federico. Poi però la situazione è precipitata e, durante un controllo in ospedale, lo sguardo della dottoressa non ha lasciato alcun dubbio. Le ho chiesto: “A quanto è arrivata la creatinina?”. Quando ha risposto che il valore era sette – calcoli che la norma è compresa tra 0,7 e 1,2 – mi sono seduta e ho cominciato a piangere».

Non ci sono più alternative: l’unica possibilità è quella di un trapianto da donatore vivente. Si offrono in tre: la madre, la sorella e Cristiana. La prima viene scartata perché anche lei portatrice della sindrome di Alport, alla seconda la donazione viene assolutamente sconsigliata: troppo giovane. Rimane solo la moglie. Come si arriva alla decisione di donare un rene? «È stato un gesto assolutamente spontaneo, dettato dall’amore. Un gesto che non rinnego: l’ho fatto per mio figlio, per la mia famiglia, e lo rifarei. Se ami qualcuno non ti fai troppe domande, cerchi solo le risposte, le soluzioni. E, in quel caso, io ero la soluzione».

Di quel 10 febbraio 2010, il giorno dell’operazione, Cristiana ricorda «soprattutto la gioia per quello che stava accadendo: dopo un’attesa tanto lunga, ero certa che una volta eseguito l’intervento la strada sarebbe stata tutta in discesa: fuori dall’ospedale ci aspettava la rinascita della nostra famiglia».   e infatti, dopo un periodo di isolamento, la vita torna a scorrere. Però, già dai primi giorni, Cristiana si accorge che il marito è cambiato: riprende tutte le attività sportive, dal calcio al tennis, ma rimane sempre più spesso fuori casa, quasi sentisse l’esigenza di scappare da quella che, forse, sentiva come una gabbia.

Decidono comunque di avere un secondo bambino, ed è durante questa gravidanza che i dubbi di Cristiana aumentano. «Stefano era assente, scostante, ma io non volevo vedere: mi faceva troppo male. Chiudevo gli occhi, sperando che cambiasse qualcosa, ma ogni volta che li riaprivo era sempre peggio. Poi ho dovuto prendere coscienza di quello che stava accadendo: è stato proprio il giorno della nascita di Riccardo, il 6 luglio 2011. Il bambino è nato alle 6.20 e io ero ancora in sala parto quando mio marito mi ha detto che tornava a casa a dormire perché era stanco. Erano le 6.30». Federico ha diciotto mesi e Riccardo appena una settimana quando Stefano comunica a sua moglie che non sa più che cosa prova per lei, che non è sicuro dei suoi sentimenti.

Si prepara la valigia e torna a vivere nella mansarda dei genitori, lasciando Cristiana con due figli e un solo rene. in questa storia colpisce, e stupisce, la tranquillità e la forza d’animo di Cristiana: ci sono mogli che, per molto meno, spaccano le macchine dei loro ex mariti o li vessano in mille altri modi. Lei no. «Sono sincera, c’è stato un momento in cui, se non avessi avuto il sostegno di una psicologa e dei miei amici, forse non ce l’avrei fatta. È stato un periodo durissimo, di tentativi di stare ancora insieme, di fallimenti. Ho messo io la parola fine al nostro matrimonio dopo essere tornata da Parigi, dove avevo trascorso la notte di Capodanno guardando i fuochi d’artificio con i miei figli dalla finestra della nostra camera d’albergo mentre Stefano era fuori a festeggiare».

Qualcosa di buono, quella sofferenza, glielo ha lasciato. «Ho scoperto di essere forte, indipendente: non ho più paura di dormire da sola, ho ritrovato il sorriso. Ho capito che per amare di nuovo qualcun altro devo imparare ad amare me stessa. Non mi spaventa nulla, e quando mi sento triste mi dico che a tutto c’è rimedio: basta solo volerlo». Cristiana ha gli occhi azzurri che brillano mentre guarda i suoi figli. «Mi dispiace solo che non abbiano mai avuto l’occasione di vedere quanto amore la mamma e il papà provavano l’uno per l’altra. Abbiamo vissuto anni amandoci davvero, ma non siamo stati in grado di farlo “sentire” a loro.

Spesso mi chiedo come sarebbe stato vivere tutti e quattro insieme: questo è il mio più grande rimpianto. Ora, saperlo innamorato di un’altra donna mi dà un po’ fastidio, ma credo sia normale. Quello che invece non mi dà pace è che i miei figli debbano vivere la mia stessa esperienza di figlia di separati, una vita con la valigia, da una casa all’altra. Forse per evitare questo non abbiamo lottato abbastanza. Voglio ancora bene a Stefano, e un po’ mi consola che un pezzo di me vivrà per sempre in lui, così non potrà cancellarmi del tutto. Donargli un rene, comunque, è un gesto che rifarei anche domani. Nella tragedia, ricordo quei giorni come i più belli della mia vita».

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