Restiamo a casa… (andrà tutto bene)

Restiamo a casa… (andrà tutto bene)

 

 

Anche stamani faccio finta di nulla.

Nonostante il vento di bora abbia già sconquassato i fiori della magnolia e ripulito il cielo

Ho imparato quasi vent’anni fa a raccontarmela.

Sono cintura nera di bicchiere mezzo pieno e resilienza, quando ancora questa parola non andava di moda.

Quando ancora nessuno la esibiva come tatuaggio insieme a balletti su barche milionarie

Mi sono preparata alle brutte notizie raccontando quelle belle

andando a ricercare storie che dimostrassero la forza di un sorriso cinico e di un’ironia dissacrante.

Eppure stamani nonostante il rossetto e il fiocco mi sento come se nel mio corpo avesse nevicato

Mi domando quando finirà

E lo domando a Luigi

e lo domando ai miei figli

per poi ridomandarlo a me stessa

perché so che niente sarà più come prima

io campionessa del mondo di relativizzazione sento le mancanze

mi manca l’odore buono dei miei

mi mancano le battute di mio papà

le litigate dolci con mia mamma

e mi mancano gli abbracci

quelli forti

quelli veri

quelli che rimettono a posto i tuoi pezzi rotti

sento la tramontana infilarsi sotto i miei vestiti e nella mia testa

e più cerco di scacciarla più il freddo mi mangia

e penso che solo un mese fa anche Amsterdam mi sembrava stretta

E tutta quella gente che urlava e rideva nei vicoli del quartiere a luci rosse sembrava solo disturbare il ritmo dei miei pensieri.

Sembrava confusione.

Invece era la musica.

La musica della vita che scorreva normale.

Senza pensieri.

Senza paura.

Senza virus.

C’eravamo solo io, mia figlia e il mondo.

Un cappuccino dalle ragazze del chiosco vicino all’hotel, che in due giorni avevano già memorizzato “lukewarm with foam”, un pancake salato al salmone e philadelphia alla caffetteria vicino al coffee shop e poi due passi fino alla piazza Dam.

Quanti negozi, quante persone, quanti ragazzi, quanti adolescenti felici ed ignari di quello che sarebbe successo da lì a poco.

È come se il mondo avesse voluto congedarsi prima di nascondersi, mostrando tutta la sua bellezza.

Anche a sé stesso.

Ed allora ecco canali pieni di vaporetti con turisti attaccati alle micro finestre, e poi mulini che giocano con il vento e bambini che rincorrono i piccioni.

Se chiudo gli occhi posso vedere distintamente i loro visi.

E poi la casa di Hanna Frank.

Quelle piccole e ripide scale che hanno scavato così a fondo nel mio cuore.

Quei muri scarni.

Quelle pareti ingiallite che conservavano pagine di giornali e foto d’epoca.

E le finestre chiuse per non farsi vedere all’esterno.

No.

Non è stato un caso visitare e toccare quei muri due giorni prima che tutto si fermasse.

Non è stato un caso ascoltare la voce silente di quegli oggetti, che parlavano ad ogni sospiro, raccontando la vita di una famiglia costretta al buio e al silenzio per sopravvivere.

Costretta al buio e al silenzio per non morire.

Non è stato un caso farsi strappare la pelle da quella casa, e percepire i sogni infranti di quella ragazzina che sarebbe diventata una giornalista meravigliosa.

In questi giorni di vita appesa il mio pensiero è andato spesso a lei.

A quei due anni di vita nascosti nel retro degli uffici di suo padre.

Con una libreria scorrevole a separarli dalla vita.

E dalla morte.

Due anni senza contatti con il mondo esterno.

Con l’unica speranza che la guerra finisse.

Ed invece quella che finì fu la sua vita di adolescente.

Quello che finì furono i suoi sogni.

Nessun primo bacio.

Nessun primo amore.

Nessuna voce.

Per due anni.

Ma un diario pieno di lei.

E così adesso che viviamo in quarantena, spesso il mio pensiero va a lei.

E mi vergogno.

Noi che nel nostro Lockdown abbiamo tutto.

Noi che abbiamo pc e smartphone

Noi che possiamo comunque uscire e passeggiare davanti casa

Noi che possiamo annusare la primavera

E vedere le albe

E i tramonti

Noi che possiamo alzare il volume dello stereo e ballare come se non ci fosse un domani

Senza paura di essere rastrellati

Senza paura di essere scoperti

Noi che abbiamo messo in pausa la vita

Per vincere questa guerra

Noi che ci lamentiamo dello spazio piccolo

Noi che ogni tanto ci scappa da piangere

Lontani dal mondo

Facciamoci piccoli

E pensiamo ai suoi 730 giorni vissuti in silenzio

Facciamolo per noi

Per i nostri nonni

Per i nostri figli

Per i nostri amici

Facciamolo per la terra

Restiamo a casa.

E andrà tutto bene.

Irene Vella

 

Yet another morning pretending nothing happened.

 

Even though bora has violently shaken the magnolia flowers and cleaned up the sky

 

It’s been over twenty years since I have learnt to kid myself

 

I am a black belt in seeing the glass half full and in resilience, even before this word was trending, before people started showing it off as a tattoo while dancing on billionaire’s boats.

 

I got ready for bad news by focusing on the good ones

 

Looking for stories that could show the strength of a cynical smile and of an irreverent irony.

 

Yet this morning, despite the lipstick and the bow, I feel as if my body has been covered in snow

 

I wonder when this will end

 

I ask Luigi

 

and I ask my children

 

and then I ask it back to myself

 

because I know that nothing will be as it used to be

 

Even I, world champion of relativization, now feel as if something was missing

 

I miss the good smell of my parents

 

I miss my dad’s jokes

 

The sweet quarrels with my mom

 

and I miss the hugs

 

the strong ones

 

the real ones

 

the ones that put your broken pieces back together

 

I feel the north wind getting under my clothes and inside my head

 

and the more I try to keep it away, the more the cold consumes me

 

I think that a month ago even Amsterdam seemed too small for me

 

And all those people screaming and laughing in the alleys of the red-light district seemed as if they were just disturbing the rhythm of my thoughts.

 

It looked like confusion,

 

Instead it was music.

 

The sound of life that was flowing normally.

 

Thoughtless.

 

Fearless.

 

Virus-free.

 

It was just me, my daughter and the world.

 

A cappuccino at the kiosk near the hotel where the girls in two days had already memorized “lukewarm with foam”, a salty pancake with salmon and cream cheese at the bakery near the coffee shop, and then a stroll to Dam square.

 

How many stores, how many people, how many kids, how many teenagers, happy and unaware of what would have happened shortly thereafter.

 

It was as if the world wanted to show all of its beauty, before bidding its farewell and going into hiding.

 

Even from itself.

 

And then there were canals full of boats with tourists glued to the micro windows, and then mills playing with the wind, and children chasing pigeons.

 

If I close my eyes, I can still distinctly see their faces.

 

And then Hanna Frank’s house.

 

Those small, steep stairs that dug so deeply into my heart.

 

Those bare walls.

 

Those yellowed walls that held newspaper pages and vintage photos.

 

And the windows closed so as not to be seen from the outside.

 

No.

 

It was no coincidence that I visited and touched those walls two days before everything stopped.

 

It was no coincidence that I listened to the silent voice of those objects that spoke with each sigh, narrating the life of a family forced into darkness and silence to survive.

 

Forced into darkness and silence so as not to die.

 

It was no coincidence that inside that house our skin got ripped apart, and that we perceived the broken dreams of that young girl who would become a wonderful journalist.

 

In these days of dangling life my thoughts have often gone to her.

 

To those two years spent hidden in the back of her father’s office.

 

With a sliding bookcase that separated them from life.

 

And from death.

 

Two years without any contacts with the outside world.

 

With the only hope that the war would end.

 

Instead, what ended was her teenage life.

 

What ended were her dreams.

 

Without a first kiss.

 

Without a first love.

 

Without a voice.

 

For two years.

 

But a diary full of her.

 

And so now that we are in quarantine, my thoughts often go to her.

 

And I am ashamed.

 

Because in our lockdown we have everything.

 

We have PCs and smartphones

 

We can still go out for a walk around our houses

 

We can still smell spring

 

We can still watch sunrises and sunsets

 

We can still turn up the volume and dance like there is no tomorrow

 

Without the fear of being swept up

 

Without the fear of being uncovered

 

We have just paused life

 

To win this war

 

We complain about the cramped space

 

We occasionally can’t help crying

 

Away from the world

 

Let’s make ourselves small

 

Let’s think about her 730 days lived in silence

 

Let’s do it for ourselves

 

For our grandparents

 

For our children

 

For our friends

 

Let’s do it for the Earth

 

Let’s stay home.

 

And everything will be alright.

 

Traduzione di Laila Bastati

Irene Vella

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